Un’intervista con Toni Cazzato, regista di “Come Scomparire Completamente”


Toni Cazzato

 

«Il cinema è una continua vertigine.»

 

BIO

Toni Cazzato nasce a Lecce, dove sin da ragazzo, ossessionato dall’amore per il cinema, frequenta corsi di teatro e scrittura fino ad entrare in pianta stabile nella compagnia Asfalto Teatro di Aldo Augieri. SI forma sul campo tra numerosi video clip e cortometraggi, accostandoci lo studio teorico del linguaggio cinematografico e la scrittura critica sul web. Quest’ultima passione li permette di partecipare come accreditato stampa a numerosi festival cinematografici italiani.

Trasferitosi a Milano lavora dal 2019 come assistente alla regista Tekla Taidelli e in particola alla sua scuola di Street Cinema. Nel 2020 scrive e dirige Aloha Amore mio, cortometraggio sul femminicidio, interpretato dall’artista venezuelano Alfredo Ramirez. Nel 2022 autoproduce, oltre a scrivere e dirigere, io cortometraggio a tema sociale “Come Scomparire Completamente” che riflette sull’incubo dell’anoressia.

 

 

“Come scomparire completamente” è un racconto romantico ma estremamente onesto, incentrato sul disagio e sulla “fame” di due giovani in una grande città. Come hai trovato l’ispirazione per questa storia?

 

Magari mi sbaglio, ma credo che se l’essenza della scrittura e della creazione scenica non sia la lettura e la ricognizione del reale, oltre che il proprio vissuto e le proprie perversioni, si rischia di veicolare la produzione ad un messaggio finale scelto in partenza, compromettendone il carattere e l’autenticità. Come scomparire completamente nasce come uno studio sul concetto di anoressia, intesa sia come disturbo alimentare che come pensiero tossico che interessa e riguarda l’età giovanile. Quell’immagine morbosa e triste che il dolore deve essere nutrito con altro dolore e che l’isolamento e le privazioni siano una soluzione alla sofferenza. Dopo la prima stesura della sceneggiatura è stato un continuo lasciarsi andare, tra mille ricerche drammaturgiche e invenzioni ed evocazioni nate durante le prove o proprio sul set. In questo sono stato fortunato perché ho avuto due splendidi attori, Maria Aliev e Alessandro Pagani, a cui devo tanto.

 

 


Le ambientazioni e le atmosfere che hai scelto giocano un ruolo molto importante in questa storia. Quali sono state le sfide principali durante le riprese, in una stanza, al cinema e all’ esterno di notte?

 

Mi preme sottolineare che il film è un’autoproduzione, l’appartamento di Kira, la ragazza protagonista, che vediamo nella prima parte era la casa in cui abitavo in affitto nel periodo delle riprese! Quindi In questa location la sfida è stata non far incazzare la mia compagna quando tornava stanca dal lavoro! Ironia a parte, ogni luogo deve essere ascoltato, e il piano regia deve adattarsi alle difficoltà quotidiane del set. Giro con una troupe molto leggera di 4 persone al massimo (me compreso), è possibile raggiungere una buona flessibilità proprio per questo. Le scene in strada sono state filmate a Lambrate (periferia di Milano) con un approccio “punk” che ha creato un bel contrasto con la ricercatezza del testo. Per approccio punk intendo: utilizzo delle luci naturali e delle infrastrutture urbane, audio in presa diretta e riprese veloci con tante “buona la prima” forzate.

Ho cercato di realizzare un Cinema mentale (mentale, no psicologico!) dove la messa in scena parte dal quello che c’è nel cervello del personaggio. Per questo alcuni ambienti ordinari sono stati rappresentati come straordinari: l’appartamento diventa una prigione, la sala cinematografica il Paese delle Meraviglie della famosa favola. Per me è stato davvero emozionante poter girare una scena in una sala cinematografica, soprattutto ora in cui molte rischiano la chiusura o faticano ad andare avanti. Apprezzando le possibilità delle piattaforme di streaming, dico che dovremmo lottare per tenere viva la magia della sala cinematografica. È una cosa molto importante.

 

 

 

L’eleganza della fotografia di questo film e l’atmosfera rarefatta che evoca riescono a comunicare ulteriormente la sensibilità dei suoi protagonisti. Come hai lavorato per trovare il tuo stile e la tua voce?

 

Come scomparire completamente è la seconda collaborazione con il direttore della fotografia Sergio Tornaghi. L’ho conosciuto nel 2018 durante un workshop di regia ed è subito stato chiaro che avevamo lo stesso gusto e visione per quanto riguarda il cinema. Questa complicità artistica ha dato un buon risultato e spero che sia così anche per il futuro. Il cinema non è una corsa in solitario.  Per trovare il proprio stile bisogna rischiare totalmente ed essere in una ricerca continua.  È un lavoro lungo e sporco, che spero non finisca mai.

 

 

Come giovane regista, da quali autori più o meno noti trai ispirazione per il tuo lavoro? E perché?

 

 

Mi autobombardo di visione cinematografiche da decenni, mi è difficile restringere la cerchia delle fonti. Ma dovendo sceglierne 3 per questo film, citerei: Éric Rohmer perché letterario e allo stesso tempo cinefilo; il Richard Linklater della trilogia romantica; Ernst Lubitsch, padre della commedia al vetriolo. Ma anche le letture di Anaïs Nin e Tennessee Wiliams sono state fondamentali.

 

 

 

A quali nuovi progetti stai lavorando attualmente?

 

In Autunno inizierò le riprese di un nuovo cortometraggio da me scritto dal titolo “Nina Sings The Blues” sul tema della maternità/paternità e aborto. Il lavoro farà parte di un progetto più ampio, un film antologico ad episodi, per il quale inizierà una campagna di crowfunding per portare a termine la produzione. Bisogna capire che i film si possono fare e basta. Con un’umiltà, senza compromessi.